Riflessioni a un anno dal referendum

Emanuele Fantini 2012

[Dottore di ricerca in Scienza politica nell’Università di Torino]

in "Aggiornamenti Sociali" giugno 2012 (504-514)

A un anno dal referendum sull’acqua (12-13 giugno 2011) proponiamo una riflessione su come alcune associazioni di
area cattolica si sono rapportate al più ampio Movimento per l’acqua bene comune e su quali posizioni hanno preso circa i quesiti referendari. Un’occasione per riflettere sugli spazi di partecipazione politica “dal basso”, indipendenti da specifiche appartenenze partitiche, in cui la presenza di cattolici si è fatta più evidente e incisiva.

Il tema dell’acqua, in virtù sia della rilevanza materiale e politicasia delle suggestioni spirituali e simboliche, catalizza ormai dadiversi anni l’interesse e l’impegno di numerosi soggetti riconducibili al mondo cattolico. Questa sensibilità è stata confermata in occasione del referendum dello scorso giugno 2011 quando, in particolare sui due quesiti relativi all’acqua, ci sono state significative prese di posizione da parte della gerarchia ecclesiastica e un’attiva partecipazione di diocesi, parrocchie, missionari, associazioni e movimenti di ispirazione cattolica alla campagna referendaria. Come osservato sulle pagine di questa Rivista, si è trattato di un passaggio politico che ha visto tra i suoi protagonisti quei “movimenti di base” che, non solo in Italia, stanno riproponendo forme di partecipazione e di preoccupazione per la cosa pubblica impensabili solo qualche anno fa, e riportando alla ribalta parole desuete come “beni comuni”, e in cui si registra «la presenza di porzioni significative del mondo cattolico» (Costa 2011). La “primavera italiana” del referendum e delle elezioni amministrative dello scorso anno ha così contribuito a rilanciare il dibattito sul “risveglio dei cattolici” e sulle caratteristiche che dovrebbe assumere il loro impegno in politica per superare l'“afonia”, l'“irrilevanza” e il “disagio” degli ultimi anni 1.
Dopo aver presentato quali realtà associative cattoliche fossero presenti nel Movimento per l’acqua bene comune, metteremo in rilievo come si sia articolato il loro impegno in relazione ai due quesiti referendari. Pur nella difficoltà di discernere la specificità e l’entità dell’apporto dei cattolici nella vicenda referendaria, l’intento è quello di evidenziare quali indicazioni si possano trarre per il più ampio dibattito sulla loro partecipazione politica 2.

1. Un movimento che viene da lontano

Il referendum del 12 e 13 giugno 2011 è stato un avvenimento particolarmente significativo dal punto di vista storico e simbolico per quanto riguarda la partecipazione politica in Italia: dopo 14 anni e 24 consultazioni referendarie, i votanti sono tornati a superare il quorum del 50% degli aventi diritto necessario a rendere valido il voto. A questo successo, pronosticato da pochi, è stato attribuito un carattere spontaneo e inatteso. Nel tentativo di comprenderne le
ragioni si sono alternate tre chiavi di lettura. In primo luogo quella antropologica, che ha letto nel successo referendario il rigetto da parte della popolazione italiana del berlusconismo o, in alternativa, del neoliberismo, di cui il primo è interpretato come grottesca degenerazione. In secondo luogo si sono avute spiegazioni tecnologico-riduzionistiche, che hanno enfatizzato il ruolo giocato dal “popolo di Internet e dei social network” in contrapposizione all’establishment politico e mediatico nazionale, proponendo l’analogia con le piazze delle rivoluzioni arabe o degli indignados spagnoli. Infine le letture più congiunturali hanno insistito sulla volontà di assestare una spallata decisiva al Governo Berlusconi all’indomani della sconfitta alle elezioni amministrative del maggio precedente.
Per quanto riguarda la mobilitazione contro la privatizzazione dell’acqua, queste interpretazioni offrono delle verità parziali, da integrare con una lettura che ne restituisca lo spessore storico, analizzandola nel contesto più ampio dell’economia politica della riforma dei servizi idrici in Italia, avviata con la Legge Galli (L. n. 36/1994) e dell’economia morale del movimento che da anni si oppone alla loro privatizzazione (Fantini 2011). Anche l’impegno dei cattolici non può che essere analizzato a partire da questa prospettiva.

a) Alle origini del movimento: la promozione di una nuova cultura dell’acqua

Il movimento che ha promosso i due quesiti referendari sulla gestione dell’acqua è attivo in Italia da ormai più di dieci anni. La sua data di nascita ufficiale può essere individuata nell’istituzione, nel 2000, del Comitato italiano per un Contratto mondiale sull’acqua (CICMA), ispirato dal Manifesto dell’acqua dell’economista Riccardo Petrella (2001) e inizialmente animato da «poche persone, alcune ONG (CeVI, Centro di volontariato internazionale e CIPSI, Coordinamento di iniziative popolari di solidarietà), l’Associazione Punto-Rosso, il Forum ambientalista e una parte minoritaria di Rifondazione Comunista», come testimonia Emilio Molinari (Molinari e Jampaglia 2010, 210), presidente del CICMA. Agli inizi il movimento si concentra sull’animazione culturale, per sensibilizzare l’opinione pubblica su un tema ancora poco conosciuto, quello dell’accesso all’acqua e dei processi di privatizzazione dei servizi idrici nel mondo, attraverso un’azione capillare di iniziative educative a favore di scuole, associazioni, parrocchie. Questa specificità è anche legata al fatto che l’appello di Petrella e del CICMA è raccolto inizialmente da diverse ONG di volontariato internazionale – accanto a quelle aconfessionali del CIPSI ve ne sono molte anche di ispirazione cristiana appartenenti alla federazione FOCSIV-Volontari nel mondo – che lo declinano nelle loro tradizionali attività di educazione alla cittadinanza mondiale e solidarietà internazionale, nell’ambito del tema più ampio degli stili di vita e dello sviluppo sostenibile 3.
Per molti cattolici impegnati nel movimento, questo impegno si è fondato, sul riferimento alle nozioni di acqua come bene comune, diritto umano fondamentale ed elemento essenziale per la tutela della vita, contenute nella dottrina sociale della Chiesa e negli ultimi anni richiamate con sempre maggior frequenza nelle dichiarazioni ufficiali della gerarchia ecclesiastica. (cfr il riquadro che segue).


La dottrina sociale della Chiesa afferma innanzitutto che «in quanto dono di Dio, l’acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e pertanto un diritto di tutti. L’utilizzazione dell’acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà» (CDSC 2004, n. 484), e che «l’acqua, per la sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. [...] Il diritto all’acqua, come tutti i diritti dell’uomo, si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile» (ivi, n. 485).
L’attuale pontefice (Benedetto XVI n.d.r) ha riproposto queste posizioni in diverse occasioni. Ad esempio, in occasione dell’Expo di Saragoza del 2008, incentrata sul tema “Acqua e sviluppo sostenibile”: l’uso dell’acqua «deve essere razionale e solidale, frutto di un’equilibrata sinergia fra il settore pubblico e quello privato […]. Il fatto che oggigiorno si consideri l’acqua come un bene preminentemente materiale, non deve far dimenticare i significati religiosi che l’umanità credente, e soprattutto il cristianesimo, ha sviluppato a partire da essa, […] Il pieno recupero di questa dimensione spirituale è garanzia e presupposto per un’adeguata impostazione dei problemi etici, politici ed economici che condizionano la complessa gestione dell’acqua da parte di tanti soggetti interessati, nell’ambito sia nazionale sia internazionale». Si veda anche Caritas in veritate, 27: «è necessario che maturi una coscienza solidale che consideri l’alimentazione e l’accesso all’acqua come diritto universale di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni». Sul tema, si pronuncia regolarmente dal 2003 anche il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, attraverso un serie di contributi al triennale Forum mondiale per l’acqua, di cui il più recente è Acqua. Un elemento essenziale per la vita. Impostare soluzioni efficaci (contributo della Santa Sede al IV Forum mondiale dell’acqua di Marsiglia del marzo 2012). Nella lettura del Pontificio Consiglio l’affermazione e la tutela del diritto all’acqua implicano che essa «non può essere gestita con criteri esclusivamente economici e privatistici», richiedendo
invece «un controllo democratico, partecipato», inserendosi quindi nella questione più ampia dell’esigenza di un’Autorità politica internazionale per «mediare gli interessi in gioco e far rispettare il diritto nell’orizzonte del bene comune di tutti i Popoli e le persone» (Toso 2011, 605-606).


b) Il Forum italiano dei movimenti per l’acqua pubblica: politica e istituzioni

A partire dal 2005, di fronte all’incalzare di provvedimenti in materia di servizi idrici che segnalano l’orientamento del Governo italiano a favore della liberalizzazione (selezione del gestore attraverso la gara di appalto) e della privatizzazione (affidamento della gestione a SPA pubbliche, private o miste), nel movimento matura la volontà di incidere sull’agenda politica nazionale e locale. Il sostegno a mobilitazioni locali in opposizione al coinvolgimento o alla delega della gestione dei servizi idrici a soggetti privati porta alla nascita del Forum italiano dei movimenti per l’acqua. La coalizione si allarga così ad attori nazionali, come l’ARCI o la CGIL-Funzione pubblica e a realtà attive a livello locale: i Social Forum regionali, eredi del movimento No Global, come quello dell’Abruzzo e della Toscana; i comitati di cittadini e movimenti di consumatori che si oppongono all’aumento delle bollette, come ad Arezzo o Aprila.

Particolarmente interessante è la relazione che si sviluppa con gli enti locali, attraverso un’intensa azione di lobbying su consigli comunali, provinciali e regionali per l’adozione di delibere che affermino il principio dell’acqua bene comune e la sua natura di «servizio pubblico privo di rilevanza economica».
Questo dialogo favorisce la nascita, nel 2008, del Coordinamento degli enti locali per l’acqua pubblica, che certifica pubblicamente la relazione di collaborazione e in diversi casi di osmosi che negli anni precedenti si era instaurata tra il movimento e una parte delle istituzioni locali: i casi più noti sono la nomina nel 2005 di Riccardo Petrella alla presidenza dell’Acquedotto pugliese da parte di Nichi Vendola, o nel 2011 quella di Alberto Lucarelli, redattore dei quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua, ad assessore ai Beni comuni da parte del sindaco di Napoli, Luigi De Magistris.
A livello nazionale il movimento incontra invece notevoli difficoltà nell’individuare una sponda politica, testimoniate ad esempio dall’indifferenza con cui il Parlamento accoglie la proposta di legge di iniziativa popolare per la ripubblicizzazione del servizio idrico 4, per cui nel 2007 erano state raccolte 400mila firme Da un lato, la delega ai privati della gestione dell’acqua è un tema che spacca i principali partiti, dal PD alla Lega Nord, spesso lungo l’asse nazionale-locale. Dall’altra, i tentativi da parte di alcuni leader come Antonio Di Pietro o Beppe Grillo di mettere il cappello sulla protesta generano sospetti e irritazioni, alimentando gli umori più antipolitici del movimento che porteranno, ad esempio, a rifiutare i simboli e le bandiere di partito all’interno del comitato promotore del referendum e in occasione della campagna elettorale.
Tra gli elementi più originali del movimento figurano le pratiche di cittadinanza attiva promosse dai comitati locali del Forum, anche attraverso il coinvolgimento di saperi di tecnici e professionisti per orientarsi nella complessità del quadro normativo e dei dettagli tecnici della gestione dei servizi idrici. Lo studio della normativa europea, nazionale e regionale, dei piani delle Autorità d’ambito territorialeottimale (AATO, organi competenti in materia di pianificazione del ciclo integrato dell’acqua), il monitoraggio della qualità dei servizi, dei bilanci delle società di gestione e dei loro piani d’investimento hanno permesso di costruire quel bagaglio di conoscenze e saperi indispensabili per formulare i quesiti referendari, promuovere il referendum e monitorare la sua attuazione.


L’esempio più recente di queste pratiche di cittadinanza attiva è la “campagna di obbedienza civile” lanciata all’inizio dell’anno, che invita i cittadini ad autoridursi la bolletta di una cifra pari alla quota di remunerazione del capitale investito. Ispirato al motto “fuori i profitti dall’acqua”, il secondo quesito referendario ha infatti abolito la norma che prevedeva che la tariffa dell’acqua venisse calcolata includendo anche la remunerazione dei capitali investiti nel servizio. Tuttavia la quasi totalità delle AATO non ha ancora provveduto ad adeguare le tariffe all’esito referendario.


In questa fase di lotta politica del movimento per l’acqua non sembra emergere una specificità del contributo cattolico, al di là dell’impegno individuale di singoli credenti, cittadini o amministratori locali. Tra questi, la figura più nota e carismatica è senza dubbio quella del padre comboniano Alex Zanotelli, sia in virtù del suo lavoro sul terreno a Napoli, sia per la rilevanza e la diffusione nazionale che le sue prese di posizione assumono.

 

2. I cattolici e il referendum

La presenza di molte realtà cattoliche diviene invece esplicita e maggiormente visibile a partire dalla raccolta delle firme e nella successiva campagna referendaria. Questi momenti sono uno degli esempi più significativi di mobilitazione popolare nella recente storia repubblicana. I quesiti referendari sull’acqua sono stati infatti i primi a non essere promossi da partiti, ma da un comitato composto da realtà civiche e associative – il Comitato Referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune – e gli unici ad aver raggiunto la cifra record di 1 milione e 400 mila firme di sostegno. All’interno del Comitato promotore si è consolidata una coalizione ampia e plurale che raccoglie, oltre a chi militava già nel Forum, le voci dell’ambientalismo, le associazioni di consumatori, i comitati civici territoriali, i sindacati, le ONG, gli enti locali e numerose realtà riconducibili al mondo cattolico.

a) Il fronte del “Sì”

Nel Comitato promotore del referendum figurano diverse realtà dell’associazionismo cattolico: le ACLI, FOCSIV-Volontari nel mondo, Pax Christi, Beati i costruttori di Pace. L’AGESCI, così come il Jesuit Social Newtork, ha sostenuto dall’esterno il Comitato referendario. Va segnalato inoltre l’impegno di alcuni missionari: la Conferenza degli Istituti missionari ha aderito al Comitato referendario; il missionario saveriano Adriano Sella, insieme ad Alex Zanotelli, ha promosso una giornata di preghiera e digiuno a San Pietro per sollecitare l’impegno del mondo cattolico sul referendum.
Padre Sella è anche tra i promotori della Rete interdiocesana sui nuovi stili di vita, alla cui campagna «Acqua dono di Dio e bene comune» hanno aderito inizialmente organismi di 25 diocesi, diventati poi 67. Grazie a quest’opera di sensibilizzazione, diverse diocesi e parrocchie sono attive nel Forum e nel Comitato referendario o hanno preso posizione ufficiale sul voto, a conferma del ruolo cruciale svolto dalle chiese locali nella «seminagione» e nella «sperimentazione» dei contenuti della dottrina sociale della Chiesa (Toso 2011, 606). Tra gli altri l’Ufficio per la Pastorale sociale e del lavoro della diocesi di Termoli-Larino è tra i partecipanti fin dalla prima ora al Forum; quelle di
Trani-Barletta-Bisceglie e Nola hanno ufficialmente invitato a «recarsi alle urne», ribandendo il «dovere di tutti di partecipare», senza nascondere il proprio orientamento favorevole ai quesiti referendari, riprendendo il motto del Forum «Si scrive acqua, si legge democrazia» 5.


La Rete Interdiocesana Nuovi Stili di Vita nasce nel 2007 da alcuni organismi diocesani, che decidono di unire conoscenze ed esperienze per promuovere un movimento del popolo di Dio sui nuovi stili di vita nella Chiesa e nella società e che si incontrano periodicamente per definire iniziative e realizzare eventi comuni.
La segreteria operativa è coordinata dalla Commissione Nuovi Stili di Vita della Pastorale sociale della diocesi di Padova, reteinterdiocesana.wordpress.com>.


L’interesse e la mobilitazione per l’acqua sembrano, a questo punto aver superato la stretta cerchia dei cattolici sensibili e impegnati sulle questioni di giustizia sociale per estendersi alla maggioranza generalmente più silenziosa presente nelle parrocchie. Così, molti cattolici nell’occasione hanno partecipato alla “campagna leggera” praticata dal 16% di cittadini che, privi di precedenti esperienze di militanza politica, si sono attivati per il referendum attraverso formule di partecipazione non tradizionale, informale, spesso individuale 6.
Vale la pena sottolineare che questo impegno è stato avallato o sollecitato anche da diversi pronunciamenti di vescovi e di organi ufficiali della gerarchia cattolica. A livello di Santa Sede, il segretario del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, mons. Mario Toso, a febbraio 2011, in apertura del convegno «Dammi da bere» promosso dall’associazione Greenaccord, ricordava che «l’acqua non è una merce e non può essere gestita con un criterio esclusivamente economico e privatistico». Il 20 maggio 2011 l’Osservatore Romano ospitava un’intervista a Luis Infanti De La Mora, vescovo di Aysén, in Cile, animatore della campagna contro il progetto idroelettrico che prevede la costruzione di cinque dighe in Patagonia in cui è coinvolta anche l’ENEL, autore della lettera pastorale Dacci oggi la nostra acqua quotidiana (2010), secondo cui la privatizzazione dell’acqua «è un’ingiustizia istituzionalizzata». Il segretario generale della CEI, mons. Mariano Crociata, ribadiva inoltre il 24 maggio che «l’acqua è questione di responsabilità sociale e bene comune, è necessario che vi sia responsabilità verso i beni comuni e che rimangano e siano custoditi per il bene di tutti», e che i referendum, in quanto esprimono «una delle forme della volontà popolare, sono da apprezzare» 7.
Posizioni analoghe erano espresse a ridosso del referendum da mons. Giancarlo Bregantini, presidente della Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace 8.
In quei mesi si assiste inoltre a una grande attenzione della maggioranza della stampa cattolica al tema dell’acqua. Testate come Famiglia Cristiana (il cui vicedirettore, Giuseppe Altamore, è autore di numerose pubblicazioni sul tema), Avvenire, Aggiornamenti Sociali, Popoli, Nigrizia, Rocca hanno contribuito a rompere il silenzio in cui i principali mass media avevano avvolto il referendum, in alcuni casi deliberatamente per farlo fallire, in altri per indifferenza o attribuendogli scarse possibilità di successo.

b) Il fronte del “No”

All’interno del composito e variegato arcipelago riconducibile all’associazionismo cattolico non sono mancate anche le voci discordanti e i pareri contrari al referendum. Alcune realtà, come Comunione e liberazione (anche attraverso le testate Tracce e Tempi) hanno mantenuto un profilo basso o indifferente, che nel caso del referendum, in cui è essenziale mobilitare gli elettori per raggiungere il quorum, equivale implicitamente a un voto negativo. Tra le prese di posizioni esplicite a favore del “No”, uno dei pareri citato con maggior frequenza è quello del vescovo di Trieste, mons. Gianpaolo Crepaldi 9.
Su questa posizione si sono schierati anche il segretario della CISL Raffaele Bonanni 10 – a titolo personale, dal momento che la CISL ha lasciato libertà di coscienza ai suoi iscritti e altri dirigenti hanno invece espresso il loro sostegno ai referendum – e il costituzionalista e parlamentare PD Stefano Ceccanti. Quest’ultimo, sul blog “Il Landino” – animato da un gruppo di ex militanti della FUCI – ha espresso il suo no ai referendum, e in particolare al secondo quesito sulla determinazione della tariffa, sostenendo che essi tradiscono «un vecchio modo di vedere i rapporti tra società e amministrazione pubblica, nel quale l’amministrazione ha il monopolio dell’interesse pubblico»11.
Perplessità e commenti critici sui risultati del referendum, e sul ruolo che i cattolici vi hanno giocato, sono stati espressi sul Corriere della Sera dal presidente del Censis Giuseppe De Rita, secondo cui essi si sarebbero «uniti al gregge» cadendo nella «trappola della semplicità» in base alla «convinzione quasi teologica che l’acqua è dono divino e bene di tutti» 12. Analogamente, il sociologo Luca Diotallevi su Avvenire denunciava l’assenza di una capacità di generare consenso attorno a coraggiose proposte riformiste, anche per colpa dei cattolici che pure in passato «sono stati protagonisti delle più incisive stagioni riformiste che la storia repubblicana ha conosciuto» 13.

3. Tracciare un bilancio

Nel tracciare un bilancio di quanto è avvenuto occorre innanzitutto premettere come il referendum, per sua stessa natura, tenda a semplificare le problematiche, polarizzando il dibattito e le posizioni.
Nell’affrontare il problema dell’acqua, si è inoltre assistito al ricorso a due “campi semantici” differenti e a tratti incommensurabili. Da un lato, i sostenitori del “Sì” hanno impostato la campagna ricorrendo al registro dei diritti e della giustizia sociale, della solidarietà internazionale, della partecipazione politica alla gestione del bene comune, riassunto nel motto «Si scrive acqua. Si legge democrazia» e facendo assumere alla battaglia per l’acqua pubblica il valore paradigmatico di battaglia contro la mercificazione della vita. Dall’altro, i sostenitori del “No”, in prevalenza alfieri del cosiddetto “capitalismo municipale”, hanno sviluppato le loro critiche a partire da argomenti tecnici sui rischi che il successo del referendum avrebbe rappresentato in termini di efficacia ed efficienza della gestione di un servizio industriale come quello idrico (Carrozza 2012). I due fronti hanno finito così per porsi su un piano di incomunicabilitàCome abbiamo visto, la frattura non ha certo risparmiato il mondo dell’associazionismo cattolico, la cui maggioranza, in linea con quanto avvenuto nell’intera popolazione italiana, ha comunque scelto di aderire alla prima posizione. Ferma restando la difficoltà di tracciare rigidi confini al mondo cattolico, la necessità di tenere conto del suo pluralismo interno e l’irriducibilità dell’esperienza di fede alle logiche della militanza politica, ci possiamo a questo punto chiedere quali indicazioni ha offerto la presenza dei cattolici nel Movimento per l’acqua bene comune al più ampio dibattito sul loro impegno in politica.
Una prima caratteristica è la spontaneità della loro partecipazione. Ciò appare in linea con le modalità d’azione dell’intero movimento, in cui esiste un coordinamento nazionale, rappresentato dal Forum italiano dei movimenti per l’acqua, che resta tuttaviafrutto di un’aggregazione dal basso, rispettosa della pluralità e dell’autonomia delle singole realtà che la compongono e della  loro indipendenza dai partiti e dalle istituzioni. Analogamente, la partecipazione dei cattolici al movimento non è stata organizzata dall’alto, in particolare dalla gerarchia ecclesiastica, come invece era avvenuto nel precedente referendum sulla procreazione assistita.
La spontaneità e l’autonomia della partecipazione dei cattolici al movimento comportano inevitabilmente un certo grado di frammentazione della loro presenza e della loro azione, da cui deriva anche la difficoltà di discernere la specificità e l’entità del loro contributo. Per molti aspetti l’impegno dei cattolici è stato mimetico, piuttosto che un «esserci per contare, in quanto cattolici» (Costa 2011, 646), anche in virtù della peculiarità della questione. L’acqua per molti cattolici ha rappresentato l’occasione per impegnarsi a favore del bene comune, facendo per la prima volta politica, o tornando a farla, su un tema “nobile”, dalla forte rilevanza simbolica e spirituale, ma anche dalle urgenti implicazioni politiche e sociali.
Su questo tema è stato possibile coniugare l’affermazione di principi con la costruzione di relazioni con soggetti di diversa ispirazione e orientamento, attraverso modalità più ecumeniche e meno laceranti rispetto al dibattito su altre questioni, come quelle in materia di bioetica, in cui entrano in gioco valori considerati non negoziabili.
La testimonianza di questi valori non è stata priva di efficacia. Uno dei piani in cui la presenza dei cattolici è stata più evidente è infatti quello culturale della definizione dei contenuti dell’economia morale dell’acqua bene comune. Senza mai diventare egemonico, il loro contributo è stato significativo nel consolidare un substrato culturale e ideologico comune a tutto il movimento. Un fattore che è invece mancato ad altri movimenti che hanno calcato – non a caso in maniera meno continuativa e tenace rispetto al movimento dell’acqua – la scena politica italiana degli ultimi anni (Lanni 2011).
Nel caso del referendum quest’elaborazione culturale è stata inoltre decisiva nel favorire quello slittamento semantico per cui il tema della gestione dei servizi idrici – almeno per coloro impegnati sul fronte del “Sì” – ha finito per acquisire il valore simbolico e paradigmatico di battaglia per la democrazia e la partecipazione alla gestione del bene comune.
La specificità del contributo cattolico al Movimento per l’acqua bene comune potrebbe indurre a inquadrarlo attraverso una categoria che ritorna di frequenza nell’attuale dibattito sulla partecipazione politica: quello del “prepartitico”. Potrebbe essere questo lo spazio, antecedente a un’adesione a un partito specifico, in cui si rende possibile una convergenza tra i cattolici giudicata ormai impraticabile sul piano dell’aggregazione partitica? Il tema dell’acqua potrebbe fornire un riscontro a tale quesito, visto che la mobilitazione contro i processi di privatizzazione della gestione dei servizi idrici aggira i canali tradizionali di partecipazione politica, promuovendo forme originali di militanza, innervate nella società, nel mondo della cultura, dei media.
Infine, ulteriori approfondimenti sono necessari per valutare, al di là delle affermazioni di principi e delle prese di posizione da parte delle gerarchie ecclesiastiche e associative, il peso concreto e la vitalità della partecipazione di gruppi e singoli all’attività quotidiana del movimento per l’acqua. Ciò per capire se i numeri e le energie dei cattolici militanti per l’acqua li legittimano, da un lato, ad «esserci per mediare» (Costa 2011, 647) le istanze di un movimento concentrato su una singola questione con l’interesse generale, e, dall’altro, a estendere quanto di positivo emerso nell’impegno per l’acqua ad altri ambiti di azione dei credenti nella politica e nella società.

1 Cfr Bianchi E., «Il risveglio dei cattolici nel Paese malato», in la Repubblica, 22 ttobre 2011; «Il risveglio dei cattolici», in benecomune.net, 14 dicembre 2011, http://benecomune.net/news.interna.php?notizia=1432
2 L’articolo si fonda sull’analisi di testi ufficiali della Chiesa (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, documenti del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, comunicati della Conferenza episcopale italiana e di diverse diocesi), delle principali testate e dei siti internet di ispirazione cattolica, nonché sull’osservazione partecipata dell’esperienza del Movimento italiano per l’acqua bene comune, con particolare attenzione ad alcuni momenti della campagna referendaria di maggiogiugno 2011.
3 I materiali della prima campagna promossa dal CICMA, “Acqua bene comune dell’umanità”, o il ricco catalogo di sussidi educativi sul tema proposto dalla casa editrice EMI di Bologna testimoniano questa sensibilità.
4 Proposta di legge d’iniziativa popolare concernente: Principi per la tutela, il governo e la gestione pubblica delle acque e disposizioni per la ripubblicizzazione del servizio idrico. Testo disponibile in <<www.acquabenecomune.org>>.
5 arcidiocesi di Trani-BarleTTa-Bisceglie, Recarsi alle urne, 31 maggio 2011, <www.webdiocesi.chiesacattolica.it/pls/cci_dioc_new/bd_edit_doc_dioc.edit_documento?p_id=934097>; diocesi di nola, Referendum, dovere di tutti partecipare, 4 giugno 2011, <www.diocesidinola.it/web/content/referendum-12-e-13-giugnodovere-di-tutti-partecipare>. Di stile analogo il documento «Acqua bene di tutti» degli uffici della Pastorale sociale e del lavoro delle diocesi di Novara e di Vercelli del 1 giugno 2011, <www.novaramissio.it/Fot%20Pastorllav/AcquaBeneTutti.html>.
6 Cfr diamanTi I., «Il movimento che rende visibile il cambiamento del Paese», in la Repubblica, 27 giugno 2011.
7 In <www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Referendum-Mons-Crociata-acquarimanga-bene-comune_312052729491.html>.
8 BreganTini G.C., Una Chiesa custode della terra, <www.chiesacattolica.it/cci_new_v3/allegati/21221/Bregantini.doc>.
9 crepaldi G., Referendum sull’acqua: i cattolici hanno poco da festeggiare, <www.arezzopolitica.it/2011/06/15/referendum-sullacqua-i-cattolici-hanno-pocoda-festeggiare>.
10 Cfr mania R., «Sui referendum si spacca la CISL. Contro Bonanni 93 dirigenti»,
in la Repubblica.it, <www.repubblica.it/rubriche/lobby/2011/06/06/news/referendum_cisl-17306773>.
11 Cfr «NO ai referendum sull’acqua. Soprattutto alla scheda gialla», <www.landino.it/2011/06/no-ai-referendum-sullacqua-soprattutto-sulla-scheda-gialla>.
12 de riTa G., «La trappola della semplicità», in Corriere della Sera, 20 giugno 2011.
13 dioTallevi L., «Il compito dei cattolici sulla scena pubblica», in Avvenire, 23 giugno 2011.

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