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Un bilancio di metà percorso verso gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio
Emanuele Fantini 20xx
[Dottorando in Scienza Politica dell’Università di Torino. Ha lavorato come consulente del Ministero Affari Esteri-Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo in Etiopia e Marocco.]

Abstract

Il caso dell’acqua dimostra come le politiche di lotta alla povertà per il raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, concentrandosi sui traguardi statistici, prestano scarsa attenzione al processo e alle relazioni di ingiustizia e potere che sono alla base della mancanza di accesso all’acqua, come denunciato dal Rapporto sullo sviluppo umano 2006.
Un approccio basato sui diritti umani permette di superare alcuni di questi limiti, in sintonia con quanto proposto anche dalla Dottrina sociale della Chiesa. L’accento posto da entrambi sul riconoscimento della dignità umana offre spunti interessanti un ripensamento delle politiche di aiuto allo sviluppo che tenga conto della complessità e delle accezioni anche positive del concetto di povertà.

 Nel settembre del 2000 gli Stati membri delle Nazioni Unite, con lo scopo di lottare contro la povertà hanno sottoscritto gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM): una serie di traguardi in settori come l’istruzione, la sanità, l’ambiente e la parità tra i sessi, da raggiungere entro il 2015. Per i più radicali si tratta di obiettivi troppo poco ambiziosi, che si ripropongono soltanto di dimezzare la povertà invece di sradicarla definitivamente. Gli scettici li considerano l’ultima versione di una lunga serie di piani messianici promossi dall’Occidente per la “salvezza dell’umanità”, destinati al fallimento come i precedenti1. Chi continua a crederci li reputa obiettivi meritori, ma denuncia che verosimilmente non saranno raggiunti nei tempi previsti e imputa questo ritardo in primis al fatto che i paesi donatori non stanno rispettando gli impegni assunti in materia di aiuto pubblico allo sviluppo: la media è dello 0,33% del PIL a fronte dello 0,7% più volte promesso in conferenze e dichiarazioni internazionali2. Con la speranza di correggere questa tendenza, gli OSM sono stati proposti all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale nel 2005, in occasione del G8 di Gleeneagles sotto presidenza inglese e del vertice del Millennio+5 delle Nazioni Unite, attraverso una campagna di informazione e lobbying culminata con il concerto “Live8” organizzato dalle pop star Bono e Bob Geldolf. Spenti i riflettori, due anni dopo invece il giro di boa verso la scadenza del 2015 è passato sotto silenzio, senza un vero dibattito per tracciare un bilancio di metà cammino ed indicare le eventuali correzioni di rotta necessarie.
Il tema dell’acqua offre per questo esercizio alcuni spunti interessanti. Non solo perché uno dei traguardi fissati prevede il dimezzamento della percentuale della popolazione priva di accesso ad una fonte d’acqua pulita e a servizi igienici adeguati - che ad oggi ammonta secondo le Nazioni Unite, rispettivamente a 1,1 e 2,6 miliardi di persone - ma anche perché i programmi per il miglioramento dei servizi idrici ed igienico-sanitari sono un elemento cruciale per il raggiungimento di tutti gli altri OSM (vedi tabella 1).
In particolare, il legame esistente tra mancanza di accesso all’acqua e povertà è analizzato nell’edizione del 2006 del Rapporto delle Nazioni Unite sullo sviluppo umano. Come efficacemente riassunto nel titolo, “Oltre la scarsità: potere, povertà e la crisi idrica globale” 3, l’idea centrale del Rapporto è che la mancanza di accesso all’acqua non dipende tanto dalla disponibilità fisica della risorsa, quanto piuttosto dalle relazioni di potere, dai processi politici e dalle architetture istituzionali che generano disuguaglianza e penalizzano i poveri. Alla luce di questa analisi e di altri contributi, l’articolo discute alcuni limiti delle attuali politiche per il raggiungimento degli OSM, che concorrono a spiegare i risultati insoddisfacenti finora raggiunti. Il Rapporto rafforza inoltre la legittimità di un principio che ancora fino a qualche anno fa veniva messo in discussione: il riconoscimento dell’acqua come diritto umano fondamentale. Nella parte finale dell’articolo viene dunque analizzato quale può essere il contributo dell’approccio dei diritti umani alle politiche di lotta alla povertà, ed in particolare a quelle in materia di OSM. Si tratta di un approccio che ha diversi punti in comune con quello la Dottrina sociale della Chiesa, i cui principi – in particolare quelli del bene comune, della
destinazione universale dei beni e della solidarietà – appaiono particolarmente rilevanti per la gestione delle risorse idriche.

1. Obiettivi concreti e misurabili…

Un’analisi critica degli OSM non può esimersi dal sottolineare i loro aspetti comunque positivi.
Innanzitutto si tratta del frutto di un consenso politico universale, ratificato da tutti i paesi membri delle Nazioni Unite attraverso la firma della Dichiarazione del Millennio (settembre 2000). Rispetto alla vaghezza delle dichiarazioni con cui si concludono le grandi conferenze internazionali e i vertici del G8, questa contiene impegni formulati sotto forma di traguardi concreti e misurabili e prevede una scadenza precisa per il loro raggiungimento. Inoltre gli OSM si ispirano ad una visione multidimensionale della povertà, che accanto ai fattori economici tiene conto del soddisfacimento di bisogni fondamentali come l’acqua, la salute e l’istruzione, nonché delle questioni ambientali e di genere.
Questa universalità ha fatto sì che negli ultimi anni gli OSM si trasformassero nel leit motiv dell’aiuto internazionale allo sviluppo. Ad essi si ispirano le strategie delle agenzie delle Nazioni Unite, così come quelle della cooperazione bilaterale dei paesi donatori. Ai governi dei paesi poveri, come condizione per beneficiare degli aiuti internazionali, viene richiesto di formulare piani pluriennali di sviluppo (Poverty Reduction Strategy Paper) ispirati a questi traguardi. Le organizzazioni della società civile, ed in particolare le ONG, formulano le campagne di sensibilizzazione e lobbying sottolineando il loro contributo al raggiungimento degli obiettivi e richiamando i governi a mantenere le promesse fatte nella Dichiarazione del Millennio.
Tuttavia, questo consenso, e la conseguente mobilitazione, non sembrano finora aver favorito un avanzamento significativo nelle politiche di lotta alla povertà. Come denunciato da Caritas Internationalis e CIDSE, “data la loro ampiezza ognuno può attribuire elementi del lavoro attuale all’uno o all’altro obiettivo. Questo ha dato origine ad una complessa gestione di operazioni di facciata, con pochi cambiamenti politici sostanziali. A questo riguardo è possibile che l’unica cosa che gli OSM cambieranno sarà il linguaggio relativo alla povertà e allo sviluppo (rendendolo ancor più tecnico) e non la sostanza delle politiche” 4. Gli ultimi dati pubblicati dalle Nazioni Unite confermano che il salto di qualità non si è ancora verificato: “i risultati ottenuti in alcuni casi indicano che il successo è possibile nella maggior parte dei paesi, ma che gli OSM saranno raggiunti soltanto se azioni addizionali sono intraprese immediatamente e portate avanti fino al 2015”5.
In particolare, per quanto riguarda i traguardi relativi all’acqua, globalmente la percentuale di popolazione con accesso all’acqua è passata dal 71% del 1990 al 80% nel 2004. Ciò è dovuto soprattutto grazie ai progressi realizzati in Cina e India. Ma i dati disaggregati per regioni indicano che in Africa sub-sahariana l’accesso scende al 56% e il continente raggiungerà il traguardo soltanto nel 2040. Disaggregando i dati a livello di paese, il traguardo sarà mancato per 234 milioni di persone, con 55 stati che non riusciranno a centrare l’obiettivo. Circa l’80% delle persone che non hanno accesso all’acqua potabile si concentra in tre regioni: Africa subsahariana, Asia meridionale e Asia orientale.
Le cifre sono ancora più drammatiche per quanto riguarda l’accesso ai servizi igienici. Metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo non dispone infatti di adeguati sistemi igienici di base. Nel periodo 2005-2015 si dovrebbe garantire l’accesso ad almeno 1,6 miliardi di persone, ma se nei prossimi anni verranno confermate le attuali tendenze, l’obiettivo sarà mancato di 600 milioni di persone. Se da una parte i paesi dell’estremo Oriente, dell’America latina e del Nord Africa sembrano in grado di raggiungere questo traguardo, dall’altra in Africa subsahariana il numero di persone senza accesso a servizi igienici di base è addirittura aumentato, passando dai 335 milioni del 1990 ai 440 del 2004 6.

2. …ma indicatori non sempre affidabili

Gli OSM sono apprezzati per la loro concretezza e misurabilità. Diverse voci si sono però levate per avvertire che in realtà per molti degli indicatori scelti - in particolare quelli in campo sanitario - “la materia si presta così poco alle misurazioni o le misure esistenti sono cosi inadeguate che è impossibile sapere quali fossero le condizioni iniziali o se i miglioramenti perseguiti siano davvero reali. (…) in troppi casi è impossibile sapere se davvero sia stato fatto qualche progresso” 7.
Anche per quanto riguarda l’acqua i numeri inevitabilmente semplificano la realtà, rischiando in alcuni casi di stemperare la gravità della situazione. Nelle statistiche delle Nazioni Unite, per “accesso all’acqua” si intende la disponibilità di acqua potabile attraverso uno dei seguenti tipi di fornitura: allacciamento domestico ad una rete idrica, fontanelle pubbliche, pozzi trivellati, pozzi protetti, sorgenti protette o raccolta di acqua piovana. Per “accesso ragionevole” si intende invece la disponibilità di almeno 20 litri per persona al giorno, ottenuti da una fonte situata a meno di un chilometro o di trenta minuti di cammino dall’abitazione dell’utente 8.
Questo indicatore misura dunque la disponibilità di una fonte d’acqua pulita a partire dalle infrastrutture esistenti, senza tuttavia approfondire il numero di utenti effettivi dei sistemi di approvvigionamento. In realtà, non tutte le persone che abitano in prossimità di un punto di distribuzione lo utilizzano effettivamente, preferendo magari ricorrere a fonti alternative (spesso non protette) per comodità legata alla vicinanza o per ragioni economiche legate al costo dell’acqua o ancora a causa di pratiche di discriminazione o conflitti sociali.
Inoltre il numero dei punti di approvvigionamento realmente funzionanti è spesso inferiore a quello stimato, soprattutto nel caso dei sistemi autonomi, costituiti generalmente da un pozzo, una pompa e una piccola rete di distribuzione. La sostenibilità di questi strutture dipende dalle capacità degli utenti di farsi carico dei costi di gestione e manutenzione. In molte aree rurali dell’Africa sub-sahariana, anche l’acquisto di un pezzo di ricambio o del carburante per far funzionare la pompa può rappresentare un investimento assai oneroso, per cui risulta decisiva la coesione della comunità locale e la sua capacità di organizzare e mobilitare le risorse per la cura del bene comune.
Nello stimare le risorse necessarie a raggiungere gli OSM si calcolano sempre i nuovi investimenti da realizzare, dimenticando tuttavia i costi legati alla sostenibilità degli impianti, che in media è di venticinque anni. Oltre a costruire nuove infrastrutture, occorrerà anche riabilitare quelle nel frattempo invecchiate senza un’adeguata manutenzione.
Tutti questi fattori, sommati ai limiti delle risorse umane e tecniche di cui dispongono le autorità locali per garantire il monitoraggio adeguato – in Africa per un ufficio provinciale o municipale una motocicletta è un gran lusso! – suggeriscono che le misurazioni dell’accesso all’acqua possono essere utili per analizzare e comparare le tendenze di lungo periodo, ma rischiano di non riflettere la reale situazione sul terreno.

3. La scarsa attenzione al processo

L’approccio degli OSM, concentrandosi sul raggiungimento dei traguardi statistici, presta scarsa attenzione alle problematiche legate al processo. Se da un lato si evita così l’imposizione di un unico modello o strategia da applicare su scala planetaria, dall’altro si rischia di passare sotto silenzio qualsiasi valutazione delle politiche adottate. Nel definire e misurare gli obiettivi, non viene fatto nessun riferimento al fatto che essi potrebbero essere raggiunti da stati democratici o no, attraverso processi in cui i beneficiari partecipano più o meno attivamente alla definizione e realizzazione di strategie e programmi.
Così in nome degli OSM - soprattutto in un contesto di risorse limitate - il governo di un paese può decidere di dimezzare la percentuale della popolazione senza accesso all’acqua affidando la gestione dei servizi idrici delle grandi città ad imprese private, piuttosto che puntare sull’espansione dell’accesso nelle aree rurali attraverso la realizzazione di piccoli sistemi di approvvigionamento con la partecipazione delle comunità locali. Concentrandosi sul dato tecnico, le politiche in materia di OSM rischiano di distogliere l’attenzione dai fenomeni di ingiustizia e disuguaglianza che sono alla base della mancanza di accesso all’acqua, come denunciato nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 2006: “alcune persone – in particolare i poveri – sono sistematicamente esclusi dall’accesso a causa dell’assenza di diritti legali o da politiche pubbliche che limitano l’accesso alle infrastrutture di distribuzione dell’acqua. In breve, la scarsità è costruita attraverso processi politici e istituzionali in cui i poveri sono svantaggiati. In materia di acqua pulita, in molti paesi i poveri ricevono di meno, pagano di più e sopportano i costi più alti associati alla scarsità idrica” 9. Ad esempio, le persone che vivono nelle baraccopoli di Jakarta o Nairobi acquistano l’acqua dalle autobotti di dei rivenditori privati, pagandola da 5 a 10 volte tanto rispetto a quella che esce dai rubinetti dei quartieri più benestanti, è più di quanto la pagano gli utenti dell’acquedotto di Londra o New York. Ciò costringe i poveri a consumare molta meno acqua rispetto alle fasce benestanti della popolazione e a spendere per l’approvvigionamento una percentuale del loro reddito assai più alta: in Salvador, Giamaica e Nicaragua il 20% più povero della popolazione spende il 10% del reddito per l’acqua; in Inghilterra la soglia del 3% è considerata come indicatore di indigenza.
Affrontare questi problemi in termini tecnici – o peggio ancora travestendo da interventi meramente tecnici delle iniziative con forti implicazioni politiche e notevoli interessi economici, come l’affidamento ai privati della gestione dei servizi idrici - significa nascondere o aggirare la dimensione politica e conflittuale insita in ogni processo di sviluppo.

4. Lotta alla povertà…o ai poveri?

L’approccio prevalentemente caritativo degli OSM dipende dalla visione della povertà a cui si ispirano. Questa viene percepita in termini di mancanza di beni materiali e di conseguenza lo sviluppo finisce per limitarsi ad una lista di elementi (acqua, cibo, scuole,…) che devono essere forniti ai beneficiari dei progetti attraverso il denaro degli aiuti internazionali. Si tratta di una visione più restrittiva rispetto all’approccio dello sviluppo umano, che punta invece a creare le condizioni per l’ampliamento delle capacità dell’essere umano, ovvero dell’insieme delle possibilità e delle scelte offerte ad un individuo nel corso della sua vita 10. E’ il risultato di questo processo che potrà poi concretizzarsi nell’accesso ai beni e servizi che rappresentano il raggiungimento degli OSM.
Nel settore idrico questo limite si traduce nel prevalere dell’attenzione alle infrastrutture: la povertà coincide con il sottosviluppo inteso nel senso di “sotto-infrastrutturazione”. In realtà, installare un pozzo o una fontana pubblica in un villaggio può non essere sufficiente, se l’azione non è inserita nel contesto di un intervento che permetta di trasformare l’acqua in strumento concreto di sviluppo, eliminando gli impedimenti sociali, economici e culturali all’accesso. Per questo occorrono la formazione di comitati per la gestione partecipativa dell’acqua, la sensibilizzazione sulle corrette pratiche d’igiene, le attività generatrici di reddito che rendono sostenibile il servizio e permettono ai più poveri di contribuire ai costi di gestione, la definizione di contesti istituzionali che assicurino l’equità in materia di diritti di sfruttamento della risorsa.
La tendenza è invece quella di tralasciare le dimensioni non materiali e più difficilmente misurabili della povertà, legate all’impossibilità di far sentire la propria voce, di veder riconosciuta la propria dignità e di disporre di reti sociali e culturali con funzioni di attenuazione dei rischi. Nel caso dell’acqua, ciò rischia inoltre di far dimenticare la sua rilevanza sociale, culturale e spirituale. Il suo carattere indispensabile per la vita sulla Terra, ha da sempre posto l’acqua al centro della simbologia della produzione artistica e dei riti religiosi 11. Il precetto di dar da bere agli assetati si ritrova in numerose culture e religioni, ed ha dato vita a tradizioni come le fontane e i bagni pubblici, gli hammam, o la distribuzione gratuita d’acqua nelle moschee. Questi spazi diventano luoghi di incontro, socializzazione e scambio di informazioni. Addirittura c’è chi al pozzo, come la samaritana, incontra niente meno che Gesù.
L’approccio degli OSM, semplificando il concetto di povertà e affrontandolo in termini economicistici, lo riduce al problema della miseria materiale, dell’indigenza e ad attribuisce di conseguenza ai poveri una connotazione esclusivamente negativa. Nella visione di Jeffrey Sachs, economista americano che coordina il “Millennium Project” (il programma dell’ONU che ha il compito di elaborare e promuovere la strategia per il raggiungimento degli OSM), la povertà diventa una malattia da eliminare. Non a caso definisce il suo metodo come “economia clinica”, “una teoria economica più simile alla moderna medicina” 12. Il farmaco da utilizzare, secondo Sachs sono gli aiuti internazionali e la molla che dovrebbe far scattare il loro aumento si basa sulla lettura della povertà come fattore destabilizzante per la sicurezza interna ed internazionale. Rivolgendosi al pubblico americano, Sachs sostiene infatti che “esiste una forte
correlazione fra l’estrema povertà all’estero e le minacce alla sicurezza nazionale” in quanto “le società destabilizzate dalla povertà estrema diventano focolai di fermento sociale, violenza ed addirittura terrorismo globale” 13. Più che aiutare i poveri, sembra quasi ci si voglia proteggere da loro.
Si tratta di una visione che sembra completamente dimenticare i significati positivi che tutte le grandi culture e religioni hanno storicamente attribuito alla povertà: dalle nozze con Sorella Povertà di San Francesco, alla “povertà, semplicità e lentezza volontaria” di Gandhi 14. Queste visioni presentano la riduzione dei bisogni materiali come un elemento liberatore che favorisce maggior autonomia nelle scelte, uno stile di vita in equilibrio e armonia con l’ambiente, nonché attenzione alle dimensioni spirituali ed immateriali della vita e alla qualità delle relazioni sociali. Lottando contro la povertà, le politiche ufficiali di cooperazione allo sviluppo, rischiano di combattere, o perlomeno di mettere a tacere queste sensibilità, che restano tuttavia cruciali per uno sviluppo sostenibile non solo sul piano economico ed ecologico, ma anche dal punto di vista sociale e culturale.
Senza cadere nel comodo pauperismo dei ricchi che consigliano ai poveri di restare tali, occorre comunque interrogarsi, anche in linea coi principi di solidarietà e sussidiarietà della Dottrina sociale della Chiesa, in merito alla possibilità di politiche di sviluppo che guardino ai poveri “non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo” 15.

5. Il contributo del diritto all’acqua

Il Rapporto sullo sviluppo umano 2006 offre uno spunto interessante per procedere in questa direzione, riconoscendo esplicitamente l’acqua come diritto umano fondamentale. Un autorevole pronunciamento su un tema che fino a pochi anni fa risultava particolarmente controverso, come dimostrano le acrobazie lessicali a cui si assisteva al termine delle conferenze internazionali per sostituire il termine “diritto” con sinonimi più ambigui dal punto di vista giuridico, come”bisogno” o “necessità” 16. Cosi, mentre nel 2003 nelle oltre mille pagine della prima edizione del “World Water Development Report” delle Nazioni Unite non si trovava che un riferimento al diritto umano all’acqua, nel 2006 il Rapporto sullo sviluppo umano riconosce che il questo diritto “comporta la disponibilità di almeno 20 litri d’acqua pulita al giorno per ogni cittadino e a titolo gratuito per le persone troppo povere per pagare” ed invita tutti i governi “ad andare oltre i vaghi principi costituzionali e sancire il diritto degli esseri umani all’acqua in una legislazione che conferisce il potere reale di esercitarlo” 17.
Si tratta di un principio riconosciuto anche nella Dottrina sociale della Chiesa, secondo cui “in quanto dono di Dio, l’acqua è elemento vitale, imprescindibile per la sopravvivenza e pertanto un diritto di tutti. L’utilizzazione dell’acqua e dei servizi connessi deve essere orientata al soddisfacimento dei bisogni di tutti e soprattutto delle persone che vivono in povertà” 18. Inoltre “l’acqua, per sua stessa natura, non può essere trattata come una mera merce tra le altre e il suo uso deve essere razionale e solidale. Il diritto all’acqua come tutti i diritti dell’uomo si basa sulla dignità umana, e non su valutazioni di tipo meramente quantitativo, che considerano l’acqua solo come un bene economico. Senza acqua la vita è minacciata. Dunque, il diritto all’acqua è un diritto universale e inalienabile” 19.
L’approccio dei diritti umani offre alle politiche di lotta alla povertà sia quadro teorico che gli strumenti concreti per prestare maggior attenzione ai processi di sviluppo, attraverso l’affermazione dei principi di non discriminazione e partecipazione e la garanzia di un quadro istituzionale che definisce e sanziona le responsabilità di tutti gli attori coinvolti 20. Inoltre, fondandosi sul riconoscimento della dignità umana, come sancito nel preambolo della Dichiarazione universale dei diritti umani - “tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”-, al pari della Dottrina sociale della Chiesa, affronta il tema della povertà in termini non di elemosina, ma di denuncia dell’ingiustizia, prestando la dovuta attenzione alle sue dimensioni sociali e politiche 21.
Nel 2002 il Comitato sui diritti economici sociali e culturali delle Nazioni Unite  22, ha definito nel “General Comment” n. 15 il contenuto del diritto all’acqua e gli obblighi da esso derivanti.
Questo rappresenta un utile strumento per specificare e misurare le varie dimensioni dell’accesso all’acqua promosso nelle politiche relative agli OSM, in quanto prende in considerazione l’accessibilità fisica, sociale, economica e politica (intesa soprattutto come accesso alle informazioni sulla gestione).
La responsabilità principale per la realizzazione di questo diritto appartiene agli Stati, che hanno innanzitutto l’obbligo di rispettare il diritto all’acqua, astenendosi dall’ostacolare o restringere l’accesso per i loro cittadini. In secondo luogo i governi hanno il compito di tutelare il diritto all’acqua, proteggendo i cittadini dalle conseguenze negative derivanti dall’azione di terzi e prevedendo adeguati strumenti di compensazione dei danni subiti. Ciò comporta, nel caso del tema controverso dell’affidamento ai privati della fornitura dei servizi idrici, il dovere di regolamentare e monitorare la gestione di questi servizi. L’approccio dei diritti umani non impone dunque un modello particolare per la fornitura dei servizi sociali, ma richiede che “la privatizzazione dei servizi idrici e igienici non avvenga in assenza di un chiaro ed efficace quadro istituzionale di regole che garantiscano l’accesso sostenibile a acqua e servizi igienici sicuri, sufficienti, fisicamente ed economicamente accessibili 23. Sullo stesso tema, la Dottrina sociale della Chiesa sottolinea l’imprescindibile natura di bene comune dell’acqua: “La sua distribuzione rientra, tradizionalmente, fra le responsabilità di enti pubblici, perché l’acqua è stata sempre considerata come un bene pubblico, caratteristica che va mantenuta qualora la gestione venga affidata al settore privato” 24. Infine gli Stati hanno l’obbligo di promuovere il
diritto all’acqua, attraverso l’adozione di misure legislative e politiche per la sua realizzazione concreta.
Negli ultimi anni il diritto all’acqua è stato riconosciuto in numerose legislazioni nazionali, diventando uno strumento efficace per denunciare e porre fine violazioni, richiamando i governi al rispetto delle loro responsabilità. Ma, senza dover arrivare nelle aule dei tribunali, il diritto all’acqua può diventare un’utile bussola per orientare le pratiche e monitorare le azioni di tutti i soggetti che ad esso ufficialmente si richiamano – organizzazioni internazionali, ong, compagnie private, autorità locali – e che condividono con gli Stati la responsabilità per la sua realizzazione. Per andare oltre la retorica delle affermazioni di principio, occorre in particolare sviluppare e raffinare gli indicatori e gli strumenti di monitoraggio delle programmi di sviluppo a partire dal contenuto normativo e procedurale del diritto all’acqua 25: un contributo che potrebbe rivelarsi prezioso per rimettere l’attenzione alla dignità umana e la tensione verso la giustizia sociale al centro delle politiche per il raggiungimento degli OSM.

Conclusioni

Il fatto che gli OSM non abbiano stimolato un salto di qualità negli aiuti internazionali allo sviluppo è sicuramente legato a limiti tecnici e strategici evidenti anche nel caso dell’acqua: la loro scarsa attenzione al processo, dovuta ad una concezione lineare, tecnica ed apolitica dello sviluppo ed una visione in cui la povertà, da concetto complesso e multidimensionale, finisce per coincidere con la miseria materiale. Il riconoscimento del diritto umano all’acqua permette di correggere alcuni di questi limiti, concentrando l’attenzione sul processo e fornendo un quadro giuridico ed istituzionale per il suo monitoraggio, secondo un approccio fondato sulla giustizia e la dignità umana coerente con quello della Dottrina Sociale della Chiesa. Lungi dal risolvere tutte le contraddizioni delle politiche di lotta alla povertà, questa sensibilità appare come il punto di partenza imprescindibile per guardare ai poveri “non come ad un problema, ma come a coloro che possono diventare soggetti e protagonisti di un futuro nuovo e più umano per tutto il mondo” 26. Un invito a ripensare le politiche ufficiali di lotta alla povertà, magari proprio a partire dal loro nome. Un tema sicuramente d’attualità per l’Italia dove da diversi mesi sono ripresi i tentativi di riforma dell’ormai obsoleta legge sulla cooperazione allo sviluppo, nel cui gergo abbondando i riferimenti ai “paesi donatori” e alle “iniziative a dono”.
Il dono può tuttavia rispondere a intenzioni differenti e assolvere varie funzioni, come illustra la tipologia tracciata da Giovanni Gasperini in un precedente contributo su AS 27. Quando ci riferiamo agli aiuti pubblici allo sviluppo, di che dono stiamo parlando? Del dono-beneficium, disinteressato che favorisce la “creazione di legami di solidarietà e di coesione a livelli interpersonale e sociale”, oppure del donus-munus, che approfondisce e ribadisce le distanze tra chi eroga e chi riceve il dono? O forse del dono-interessato, che mira a sviluppare forme vantaggiose di scambio, rapporti economici privilegiati o addirittura forme di corruzione o ancora dell’iper-dono, che crea legami di dipendenza dal donatore? Si tratta di caratteristiche che riemergono qua e là nelle vari programmi di sviluppo, come dimostrano le motivazioni etiche di chi si impegna a titolo professionale o di volontariato in questo settore, ma anche i tornaconti economici legati ai cosiddetti “aiuti legati”, ovvero vincolati all’acquisto di beni e servizi prodotti dal paese donatore, nonché le logiche assistenzialistiche in cui rischiano di cadere alcune iniziative ed in particolare gli aiuti alimentari. Mentre la real-politik sembra lasciare poco spazio al dono disinteressato a livello di cooperazione intergovernativa, spetta soprattutto alla società civile indicare se sia ancora possibile un aiuto di un altro tipo, in cui la
professionalizzazione non annulli la reciprocità sul piano affettivo e in cui l’attenzione alla dignità umana permetta di non lottare ciecamente contro la povertà, ma di riconoscerne gli aspetti liberatori e contrastare più efficacemente l’oppressione della miseria.


 

Tabella 1 - Accesso all’acqua e Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM)

L’accesso all’acqua e ai servizi igienici di base non sono solo due dei traguardi fissati dagli OSM, ma rappresentano un elemento essenziale anche per il raggiungimento degli altri obiettivi.

Obiettivo 1 – Eliminare la povertà estrema e la fame

Nei paesi in via di sviluppo, il costo delle malattie e delle perdite di produttività legate all’acqua e ai servizi igienico sanitari rappresenta il 2% del PIL. Nell’Africa sub-sahariana la cifra sale al 5%, più di quanto la regione riceve in aiuti internazionali.
Nei paesi in via di sviluppo, solo il 25% delle famiglie più povere ha accesso all’acqua corrente nella propria abitazione, contro l’85% delle famiglie più ricche. Dovendo ricorrere a rivenditori privati, le famiglie più povere pagano fino a dieci volte di più l’acqua rispetto allefamiglie ricche.
L’acqua è un fattore produttivo vitale per i piccoli coltivatori, i quali rappresentano oltre la metà della popolazione mondiale che vive con meno di un dollaro al giorno.

Obiettivo 2 – Raggiungere l’istruzione primaria universale

La necessità di percorrere lunghe distanze per procurare l’acqua impedisce a milioni di ragazzi e ragazze di frequentare la scuola.
Le malattie legate all’acqua come la diarrea e le infezioni da parassiti rallentano le potenzialità di apprendimento di oltre 150 milioni di bambini e costano 443 milioni di giorni di frequenza scolastica (equivalenti ad un anno scolastico intero per tutti i bambini di sette anni in Etiopia).
L’assenza di servizi igienico sanitari e di acqua nelle scuole è uno dei principali motivi di abbandono della scuola da parte delle ragazze.

Obiettivo 3 – Promuovere l’uguaglianza di genere e dare più potere alle donne

La responsabilità di procurare l’acqua grava quasi sempre interamente sulle donne: un compito che può richiedere fino a quattro ore al giorno di lavoro.
Le disuguaglianze di genere si riproducono anche nello scarso numero di donne elette o nominate negli organi di gestione dei sistemi di approvvigionamento idrico o nella loro penalizzazione in termini di diritti di sfruttamento della risorsa.

Obiettivo 4 – Ridurre la mortalità infantile

La mancanza di accesso a servizi idrici ed igienici adeguati è la principale causa degli 1,8 milioni di decessi infantili all’anno –quasi 5.000 al giorno – dovuti alla diarrea, che si colloca al secondo posto tra le cause di mortalità infantile (tra i bambini la diarrea causa un numero di vittime cinque volte superiore rispetto all’HIV/AIDS).
L’accesso all’acqua pulita e a servizi igienici adeguati riduce del 50% il rischio di mortalità infantile.

Obiettivo 5 – Migliorare la salute materna

L’accesso all’acqua pulita e a servizi igienico-sanitari adeguati riduce l’incidenza di malattie e disturbi – quali l’anemia, l’avitaminosi e il tracoma – che minacciano la salute materna econtribuiscono alla mortalità materna.

Obiettivo 6 – Combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie

Servizi idrici ed igienici inadeguati espongono le persone affette da HIV/AIDS a maggiori rischi di infezione. Inoltre, le madri affette da HIV/AIDS hanno bisogno di acqua pulita per preparare il latte per i loro figli.
Impianti igienico-sanitari e fognari inadeguati contribuiscono alla malaria, che miete circa 1.3 milioni di vittime all’anno, per il 90% bambini di età inferiore ai cinque anni.

Obiettivo 7 – Garantire la sostenibilità ambientale

Il numero di paesi che vivono in paesi soggetti a stress idrico aumenterà dai 700 milioni attuali a oltre 3 miliardi entro il 2025. In particolare, oltre 1,4 miliardi di persone vivono oggi in bacini fluviali in cui l’impiego idrico supera i livelli minimi di rigenerazione, determinando il prosciugamento dei fiumi e l’esaurimento delle falde.
L’insicurezza idrica legata ai cambiamenti climatici minaccia di far aumentare il numero di persone malnutrite di 75-125 milioni entro il 2080, con una diminuzione di oltre il 25% della produzione di alimenti di base nell’Africa sub-sahariana.

Obiettivo 8 – Sviluppare un alleanza globale per lo sviluppo

Nel 2006 gli aiuti internazionali allo sviluppo sono calati del 5,1% rispetto al 2005. In particolare il volume di aiuti destinati all’Africa sub-sahariana è rimasto invariato, nonostante l’impegno assunto dal G8 di Gleneagles (2005) di raddoppiarlo entro il 2010.
Mentre dal 1990 il volume globale di aiuti destinati all’educazione e la sanità è raddoppiato, la quota per l’acqua e i servizi igienici è diminuita (rappresenta il 4% dei flussi totali di aiuti), e resta inferiore a quella degli altri due settori. Anche gli aiuti all’agricoltura sono diminuiti di un terzo rispetto all’inizio degli anni Novanta.
Molti paesi con elevati tassi di mortalità infantile legata alla diarrea destinano meno dello 0,5% del loro PIL al settore idrico: in Etiopia il budget della difesa ammonta a 10 volte quello per l’acqua; in Pakistan è pari a 47 volte.
Per raggiungere gli OSM, i governi dovrebbero destinare almeno l’1% del loro Pil allo sviluppo dei servizi idrici ed igienici, mentre l’aiuto internazionale allo sviluppo dovrebbe crescere di 4 miliardi di dollari all’anno, per ottenere i 10 miliardi addizionali necessari.
(Fonti: UNDP, OECD; Water Aid)


Note

 1 Per una critica sferzante dei limiti dei “pianificatori” nella cooperazione allo sviluppo, cfr. W. Easterly, I disastri dell’uomo bianco. Perchè gli aiuti dell’Occidente al resto del mondo hanno fatto più male che bene, Bruno Mondadori, Milano, 2006.
2 Fonte OCSE-DAC, Development Cooperation Report 2006, Parigi, febbraio 2007. Per un’analisi che imputa i ritardi sugli OMS principalmente alla scarsa generosità dei paesi donatori, cfr J.D. Sachs, La fine della povertà. Come i paesi ricchi potrebbero eliminare definitivamente la miseria dal pianeta, Mondadori, Milano 2005.
3 Questa è la traduzione letterale della versione originale del rapporto, in Inglese, “Beyond Scarcity: Power, povertà and the global water crisis”, che purtroppo è stato ridotto nella versione italiana ad un meno incisivo “L’acqua tra potere e povertà”. Cfr UNDP, Rapporto sullo Sviluppo Umano 2006. L’acqua tra potere e povertà, Rosenberg&Sellier, Torino, 2006.
4 Caritas internationalis e CIDSE (Cooperazione internazionale per lo sviluppo e la solidarietà), Più che un gioco di numeri? Far si che gli obiettivi di sviluppo del millennio affrontino l’ingiustizia strutturale , documento di lavoro preparato per la 58a conferenza tra ONG di tutto il Mondo e ONU (7-9 settembre 2005), disponibile in “Il Regno – Documenti”, 1/2006, pp. 40-64.
5 United Nations, The Millennium Development Goarls Report 2007, New York, 2007, disponibile sul sito internet
www.un.org/millenniumgoals/pdf/mdg2007.pdf
6 Cfr. United Nations, ,op cit..
7 Amir Attan, L’ONU prigioniera dei Millennium Goal, in “Darwin”, Novembre/Dicembre 2005, pp. 4-11.
8 Cfr i lavori del programma congiunto WHO/UNICEF per il monitoraggio degli OSM su acqua e servizi sanitari:
www.unicef.org/wes/mdgreport/monitoring.php (pagina non più presente n.d.r.)
9 UNDP, op. cit, p. 2.
10 Cfr. UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano 1990. Come si definisce, come si misura, Rosenberg&Sellier, Torino, 1990.
11 Cfr. G. Casiraghi (a cura di), Sorella acqua: l’acqua nelle culture e nelle religioni dei popoli, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2005; P.Sorcinelli, Storia sociale dell’acqua. Riti e culture, Bruno Mondadori, Milano, 1998.
12 J. Sachs, op. cit., pag 79
13 Ibid, p. 350 e 3.
14 Cfr. G.Salio, Elementi di economia nonviolenta. Relazioni tra economia, ecologia ed etica, “Quaderni di Azione Nonviolenta”, 16, 2001.
15 Giovani Paolo II, Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2000, citato in CDSC, 449.
16 Per una ricostruzione più precisa ed approfondita del lento e faticoso cammino per il riconoscimento del diritto all’acqua mi permetto di rinviare a quanto già scritto in Per il diritto umano all’acqua, in “Teoria Politica”, n.2/2002, e The Human Right to Water: recent positive steps and the way ahead, in “Pace Diritti Umani, n. 2/2005.
17 UNDP, Rapporto sullo sviluppo umano 2006, op. cit., p. 31.
18 CDSC, paragrafo 484.
19 CDSC, 485.
20 UNDP, Rapporto sullo Sviluppo Umano 2000. Diritti umani e sviluppo umano, Rosenberg&Sellier, Torino, 2000.
21 Cfr. CDSC 107, 81, 184.
22 Si tratta di un organo formato da esperti indipendenti con il compito di monitorare il rispetto del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali attraverso l’esame dei rapporti periodici sulla realizzazione di questi diritti che gli Stati firmatari del Patto sono tenuti a presentare. I “General Comments” sono dei documenti che approfondiscono il contenuto del Patto e i relativi doveri dei governi nazionali, in modo da guidarne l’azione e orientarne le politiche in materia.
23 Human Rights Council, Report of the UN High Commissioner for Human Rights on the scope and content of the relevant human rights obligations related to equitable access to safe driniking water and sanitation under international human rights instruments, 16 agosto 2007, UN Doc A/HRC/6/3, paragrafo 52 e 53.
24 CDSC, 485.
25 Un interessante contributo in questa direzione è offerto da V. Roaf. A. Khalfan e M. Langford, Monitoring Implementation of the Right to Water: A Framework for Developing Indicators, Heinrich Böll Foundation, Global Issues papers, No. 14, marzo 2005.
26 Giovani Paolo II, Messaggio in occasione della Giornata Mondiale della Pace 2000, citato in CDSC, 449.
27 Cfr. G. Gasperini, Il dono: tra economia e società, in “Aggiornamenti Sociali”, n.3, marzo 2004, pp. 205-213.

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